14 maggio 1997
Caro Giuliano, ti saluto, e prendo a pretesto un brano dello Zibaldone di Leopardi, che sto leggendo come un libro di ore. Si tratta di una parola per la quale tu hai una singolare predilezione, e che io non ho mai impiegato: sprezzatura. I vocabolari, che ora non posso consultare, danno un significato negativo, come di una sicumera, o di una trascuratezza esibita, accanto a quello che ti piace, di una naturalezza che rifugga dall'affettazione. "Una regola universalissima; la qual mi par valer in tutte le cose umane, che si [valer] facciano, o dicano, più che alcuna altra; e ciò è fuggir quanto più si può, e come un asperissimo e pericoloso scoglio la affettazione; e, per dir forse una nuova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l'arte, o dimostri, ciò che si fa, e dice, venir fatto senza fatica, e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia". Altrove Leopardi parla di "bella negligenza"; o si dice "nemico mortalissimo dell'affettazione". E ancora: "Una sola virtù dell'espressione può e deve andar di pari coll'altezza del concetto, e questa si è la semplicità, o vogliamo dire la naturalezza e l'apparenza della sprezzatura". Conoscevi questa genealogia? Serva, comunque, ai tuoi lettori.
Adriano Sofri