di Diego Cuoghi


Gettone con iscrizione "OPPORTVNVS ADEST"

"Di questa moneta, che in realtà sembra più una medaglia, si sa soltanto che è stata coniata intorno al 1680. Pur riportata da alcune pubblicazioni ufologiche, non vengono mai fornite altre notizie. Si nota nitidamente una "ruota", dal cui centro parte un "raggio", che si libra in un cielo nuvoloso. Nella cornice la scritta OPPORTUNUS ADEST." (J.P. Cave-L. Foreman: "Ufo ed Extraterrestri" - Mondadori 1990, p.19)

In effetti l'oggetto non è una moneta, ma nemmeno una medaglia. Come è spiegato nella pagina web intitolata "Curieuses oeuvres d'art", si tratta di un "jeton" probabilmente coniato nel 1656. Molti altri gettoni di questo tipo si possono vedere (e acquistare) nel sito web di CGB Numismatic

Questi gettoni non avevano un vero valore come le monete, ma assomigliavano alle monete tanto da ingannare i più stolti. Vi sono infatti modi di dire francesi ispirati a questi oggetti, ad esempio "falso come un gettone", oppure una persona anziana poteva essere definita "vecchio gettone" perché questi si consumavano facilmente.

Durante il medioevo venivano usati per operazioni di calcolo e contabilità degli enti religiosi, poi nei secoli XIV e XV divenne di moda per nobili ed ecclesiastici farli coniare col proprio nome e stemma, sempre ad uso di contabilità e retribuzione interna. A partire dall'epoca di Enrico IV i gettoni vengono usati come oggetti di prestigio e coniati anche in metalli preziosi. Il periodo di maggio diffusione dei gettoni arriva con il XVII secolo: decorati con blasoni o con figure allegoriche ispirate all'antichità classica e motti in latino, servono sempre meno per contare e divengono segni di appartenenza alla classe dominante. Sui gettoni possono essere raffigurati anche personaggi famosi, o possono celebrare alleanze tra grandi famiglie o eventi di politica internazionale. Nel periodo di Luigi XVI i gettoni cominciano ad essere sempre meno diffusi, e il loro uso rimane limitato ai consigli di amministrazione, come metodo di conferma della presenza degli azionisti. Ancor oggi si dice infatti "gettone di presenza" quando ci si riferisce ad un rimborso spese per incarichi amministrativi.

Non sappiamo quale immagine comparisse sull'altra faccia del gettone in esame, ma possiamo immaginare non fosse una figura molto diversa da quelle che compaiono in altri gettoni con lo stesso"misterioso scudo nel cielo" (Mystérieuse scène avec un bouclier céleste au revers). In questo vediamo la giustizia che tiene la spada in una mano e la bilancia nell'altra, ma ai suoi piedi un personaggio rovescia una borsa di monete (L'Équité debout de face, tenant une épée et des balances. Devant elle, à droite, un homme courbé versant une bourse de monnaies à ses pieds.). Sembra quasi una vignetta satirica: la giustizia si vende per soldi?

In un'altra versione, sempre in vendita nel catalogo CGB Numismatic, sull'altra faccia compare lo stemma di Francia e Navarra. Nelle descrizioni di questo catalogo numismatico la frase "OPPORTVNVS ADEST" viene tradotta in francese con "Il est présent à propos", ovvero "E' presente al momento opportuno". Ma la parola latina "adest" oltre a "essere presente", "essere propizio", significa anche "aiutare, assistere, favorire" e in questo senso la usa Cicerone parlando di avvocati che difendono i clienti.

Molti gettoni di questo tipo contenevano raffigurazioni allegoriche e mitologiche, e proprio nella mitologia si è trovato un riferimento letterario che può spiegare la natura di quell'oggetto tondo che si trova tra le nubi e la terra. Esso potrebbe infatti rappresentare l'Ancile, lo scudo sacro inviato da Giove al re di Roma Numa Pompilio.

La leggenda è raccontata in diverse versioni, quella di Ovidio ("Fasti", libro III) narra di Numa Pompilio che avrebbe deciso di interrogare Giove per farsi svelare il segreto per difendersi dai suoi fulmini. Giove chiede in cambio un sacrificio umano, ma Numa che è un uomo pacifico rifiuta e riesce, con giochi di parole, a ingannare il dio. Numa teme l'ira di Giove, ma il dio invece di adirarsi ride per l'arguzia del re e gli promette per il giorno successivo la rivelazione del segreto. Il giorno dopo Numa Pompilio convoca i rappresentanti dei quartieri di Roma e a mezzogiorno, come promesso, ecco che dei fulmini squarciano il cielo dal quale cade uno scudo ovale proprio ai suoi piedi. Lo stesso Giove, lanciando dal cielo lo scudo, fa sapere che Roma non avrebbe avuto più niente da temere dai suoi nemici a patto che lo scudo fosse ben custodito. Il re per ringraziare il dio fa sacrificare una giovenca e porta lo scudo nel sacrario della propria casa, ma, per paura che possa essere rubato, ne fa costruire dall'artigiano Mamurio Veturio (che significa "vecchio Marte") altri undici perfettamente uguali, comandando poi che fossero portati dai Salii durante l'annuale Processione del 2 Marzo.
Secondo Dionigi di Alicarnasso l'impero del mondo era destinato alla città che conservava l'Ancile.

Ecco un altro gettone francese del XVII secolo in cui vediamo lo scudo che protegge dai fulmini che escono dalle nubi:

Nelle immagini seguenti vediamo una serie di scudi rinascimentali. Tutti sono rifiniti con borchie lungo il bordo; l'ultimo in particolare, di produzione italiana e datato 1570, presenta anche la punta centrale.

In questi altri scudi (definiti "targe" o "tarch") la punta è una vera e propria lama da utilizzare come arma durante il combattimento.


(grazie a Eileen Horahan per le informazioni a proposito dei "targe" - Thank you to Eileen Horahan for the informations about the targe shields)

In quest'altro gettone, che presenta lo stesso motto OPPORTVNVS ADEST, l'oggetto nel cielo ha assunto la forma di un vero e proprio scudo araldico a targa barocca (come nell'esempio a destra)

Oltre all'ancile donato da Giove a Numa Pompilio, nella mitologia classica troviamo un altro scudo sacro prodigioso. Si tratta dell'egida, lo scudo di Giove e, più tardi, di Minerva. In origine l'egida non era altro che un manto di nubi, scuotendo il quale uscivano procelle e tempeste; più tardi fu creduto un pettorale modellato con la pelle della capra Amaltea cinto tutt'intorno di serpenti, al centro del quale Giove aveva fissato l'orribile volto della Gòrgóne per atterrire i suoi avversari. In seguito divenne un vero e proprio scudo usato per disperdere i nemici, come recitano questi brani dell'Iliade e dell'Odissea:

Or tu la fimbrïata
Egida imbraccia, e forte la percoti,
e spaventa gli Achei.
(Iliade, libro XV, trad. Vincenzo Monti)

Allor di nubi
tutta fasciando la montagna idèa,
Giove in man la fiammante egida prese,
la scosse, e fra baleni orrendamente
tonando, ai Teucri di vittoria il segno
diè tosto, e sparse fra gli Achei la fuga.

(Iliade, libro XVII, trad. Vincenzo Monti)

E la terra batté con tutto il fronte.
Pallade allor, che rivestì la diva,
Alto levò dalla soffitta eccelsa
La funesta ai mortali egida, e infuse
Ne' superstiti proci immensa tema.

(Odissea, Libro XXII, trad. Ippolito Pindemonte)

Anche in questo caso, come per l'ancile, il motto OPPORTUNUS ADEST parrebbe appropriato. Infatti il termine egida è entrato nel linguaggio comune col significato di riparo, custodia, difesa.

In questa terracotta romana conservata al British Museum è raffigurata Minerva (Pallade Athena) che assiste Argo nella costruzione della sua nave, a sinistra si vede lo scudo della dea:


Foto di Marie-Lan Nguyen, da Wikipedia Commons


Abstract:

I think that the scene comes from the roman mithology. The object falling from the sky could be the Jupiter's shield ( Ancile ) that protects from the storms and lightnings (Ovidium, Fasti, book III). The shield was a gift of Jupiter to the roman king Numa Pompilio. The promise of the god was that Rome will be protected until the romans take care of the sacred shield. The sentence "OPPORTUNUS ADEST" means something like "It is present in our time of need" ("Il est present à propòs" in french).




LA MONETA DI PERTINACE

Questa moneta, spesso descritta nei libri e nei siti di ufologia, è un denario dell'imperatore Publio Elvio Pertinace (193 d.C.) che riporta sul diritto la testa laureata del sovrano e sul rovescio la personificazione della Providentia deorum, in piedi, rivolta a sinista con il braccio destro sollevato verso un oggetto globulare dal quale spuntano alcuni raggi. La legenda recita PROVID(ENTIA) DEOR(VM) COS II.

Il "caso" venne segnalato per la prima volta da Remo Cappelli nel 1960, e poi ripreso dallo stesso autore in un articolo pubblicato nel febbraio 1979 sulla rivista "La Numismatica". Cappelli descrive uno strano oggetto che si troverebbe raffigurato in questa moneta, un disco schiacciato dal quale si dipartono quattro appendici dissimmetriche (due per lato), terminanti con un rigonfiamento. L'immagine proposta risulta però sfocata e la moneta molto rovinata e consumata, tanto che neppure la scritta appare leggibile.

Il tema venne ripreso poi in Non è terrestre da Peter Kolosimo, che descrisse il particolare misterioso come «un vero e proprio globo con antenne stranamente simili a quelle dei nostri primi satelliti artificiali» aggiungendo che «numerosi esperti, dopo aver accuratamente esaminato la moneta, sono stati concordi nell’affermare che l'oggetto rappresentato non può essere né il Sole, né la Luna, né un altro corpo celeste. Questa certezza proviene dal fatto che i quattro “raggi” del globo in questione sono disposti in maniera del tutto diversa da quella caratteristica alle solite rappresentazioni degli astri. (...) Osservando attentamente la moneta, non si può fare a meno d'osservare come la raffigurazione sia fin troppo curata: l'ignoto artigiano sapeva perfettamente che cosa doveva e voleva rappresentare, ed è per lo meno sbalorditiva la rassomiglianza dell'oggetto (antenne comprese, come abbiamo fatto rilevare) con i veicoli da noi posti in orbita intorno alla Terra.»

Nelle solite pagine di Edicolaweb troviamo un articolo di Francesco Di Blasi nel quale si legge che «Lo strano oggetto raffigurato sulla moneta, riportante la legenda "Providentia Deorum Cos II", (...) appare infatti come un globo schiacciato, munito di quattro "antenne" che presentano un ingrossamento alle estremità. Chi ne ordinò la coniazione intendeva ricordare un evento osservato nei cieli dell'antica Roma? Come accadde, forse, quattordici secoli più tardi al buon Ventura Salimbeni da Siena...».

Anche l'immagine pubblicata da Edicolaweb è sfocata, spappolata, ancora più illeggibile.

Le cose non migliorano con le fotografie che di questa moneta propongono altri siti web, come ad esempio Philcat.

Esistono foto migliori delle monete di Pertinace? certamente, e non è stato difficile trovarle in diverse pagine web che trattano di numismatica

Pertinax_1 Pertinax_2 Pertinax_3

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Pertinax_4 Pertinax_5 Pertinax_6
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Proviamo a ingrandirne due, per osservarle meglio (ma anche le altre possono essere ingrandite).

Notiamo prima di tutto che le monete non sono uguali, non derivano infatti dallo stesso conio. Ognuna presenta varianti più o meno evidenti, ad esempio le cosiddette "antenne" sono sei o otto e non presentano rigonfiamenti. Può darsi che l'esemplare osservato da Cappelli fosse una ulteriore variante, ma sappiamo bene che anche le monete tratte dallo stesso conio a causa del colpo del martello più o meno deciso, più o meno regolare, potevano presentare sfasature, decentramenti dell'immagine o altre irregolarità.

Ma torniamo al nostro particolare misterioso. Mi piacerebbe fare una domanda a chi in questo momento sta osservando le monete: "cosa pensate che sia quell'oggetto verso il quale tende le braccia la Provvidenza Divina?". Si direbbe una raffigurazione del Sole o una Stella (anche i cataloghi di numismatica definiscono il particolare come "globo radiato" o stella), certamente non un "satellite artificiale" come propongono gli autori sopracitati.

Stefano Struffolino Krüger, in La curiosa interpretazione iconografica di un denario di Pertinace (in "Rivista Italiana di Numismatica e scienze affini", Vol. CIV, 2003, pagg. 561-564) ricorda che, secondo lo storico Erodiano, verso la fine del principato di Commodo (il predecessore di Pertinace) «per lunghi periodi furono visibili le stelle in pieno giorno, alcune aveano forma allungata e sembravano sospese a mezz'aria.» Pertinace dunque potrebbe aver rappresentato con questa sua emissione un evento astrale così raro e spettacoloso come il pasaggio di una cometa. Il caso non sarebbe isolato, ricordiamo i denari di Augusto coniati in commemorazione della morte di Giulio Cesare recanti appunto la cometa che avrebbe solcato i cieli di Roma nell'anno 44 a.C.

Ma, avverte Struffolino, «le apparizioni di stelle e di fenomeni celesti, visti anche come prodigi ammonitori, erano nell'antichità tradizionalmente messi in relazione con eventi storici di particolare importanza; per questo motivo è difficile stabilire quando si tratti di mitizzazione letteraria a posteriori oppure di fenomeni realmente accaduti» e termina scrivendo che «il Dictionary of Roman Coins specifica che, nel caso particolare della monetazione di Pertinace, la Provvidenza sembra accettare il globo che può occasionalmente essere adornato di raggi, mentre scende dall'alto come se fosse un dono divino. Si potrebbe infine pensare a un simbolo di glorificazione dell'imperatore stesso, che viene inviato sulla terra per la salvezza dell'umanità (coelo demissus).»

Per finire, altre monete romane che contengono raffigurazioni di stelle:




Illustrazione da Le Livre Des Bonnes Moeurs di Jacques Legrand, circa 1490

Chantilly, Museo Condé (ref 1338 ,297 part 15 B 8)

Questa immagine compare in moltissimi siti web, nelle sezioni dedicate agli UFO nell'arte. È un particolare di una miniatura tratta da un'edizione manoscritta di "Le Livre Des Bonnes Moeurs" di Jacques Legrand, ovvero "Il Libro del Buon Costume".

Il frate agostiniano Jacques Legrand (Jacobus Magnus, 1360-1415) scrisse questo "trattato sulla moralità" all'inizio del '400. I temi sono quelli delle virtù cristiane: Castità, Prudenza, Giustizia, Obbedienza, Diligenza... esemplificate con episodi biblici o tratti da altri libri che trattano di donne virtuose come De Claris Mulieribus di Giovanni Boccaccio. Il testo ebbe un notevole successo e venne ricopiato ed illustrato da molti artisti per oltre un secolo. L'esemplare da cui è tratta l'immagine è quello conservato al Museo Condé di Chantilly, pubblicato attorno al 1490.

L'illustrazione venne pubblicata dalla rivista francese "Planéte" nel numero 15 del 1964, all'interno di un articolo intitolato "France exoterique", con la didascalia "France mystérieuse: porquoi cette montgolfière dans une miniature du XVe siecle représentant la Fortune?".

Nell'articolo di Planete dunque si diceva chiaramente che quell'immagine rappresentava la Fortuna, il cui nome si legge ai piedi della figura femminile, ma nessuno in seguito citerà più questa importante informazione e perfino la datazione verrà spesso equivocata, come succede nelle pagine di Matthew Hurley: "This image cames from the french book "Le Livre Des Bonnes Moeurs" by Jacques Legrand. You can find this book in Chantilly Condé's Museum ref 1338, 297 part 15 B 8. Some people say that the sphere is a Montgolfiere ( french name for baloon) but there was no baloon in France in 1338 ..." (http://www.ufoartwork.com/). "Non c'erano mongolfiere in Francia nel 1338", afferma Matthew Hurley. E' vero, i primi aerostati dei fratelli Montgolfier vennero realizzati nel 1782, ma in ogni caso 1338 non è la data della miniatura, è invece il numero di catalogo assegnato dal Museo Condé a questo manoscritto.

Daniela Giordano in Do UFOs exists in the History of Arts? scrive che questa miniatura potrebbe rappresentare una insolita esperienza vissuta dall'artista: una nobile signora medievale che indossa un cappello conico incontra un gruppo di cavalieri mentre sullo sfondo una enorme e misteriosa sfera, dorata e riccamente decorata, è sospesa nel cielo e sovrasta la scena. La giornalista aggiunge che si potrebbe pensare a una scena allegorica se non ci fosse un personaggio che osserva la scena con espressione di sorpresa.

In questa diversa riproduzione della miniatura (non si tratta infatti di una "suggestiva stampa medioevale"), pubblicata in "Narrano Antiche Cronache" di Roberto Volterri, la sfera viene ancor più drasticamente tagliata, eliminando sia metà del globo che la parte in cui si legge il nome del personaggio, ovvero la fortuna. Ma perché l'immagine viene sempre tagliata impedendo così di osservarla per intero?

Proprio questa fu la domanda polemicamente rivolta a Planéte da M. Jean Servier, redattore di "Art" che in un articolo pubblicato nel numero di febbraio 1964 accusava "Les faussaires de la science", ovvero i falsari della scienza. L'autore sosteneva che quell'oggetto nel cielo non fosse altro che l' "orbe", il globo tripartito simbolo del potere temporale, che in tante opere d'arte viene tenuto in mano dagli imperatori cristiani o dagli stessi Gesù e Dio Padre, come simbolo del potere su tutto l'universo creato.

Servier, nell'articolo pubblicato da "Art", proseguiva dicendo che quasi sempre l'orbe presenta una croce sulla sommità e che pure il globo che sovrasta la Fortuna, se visto per intero avrebbe con molta probabilità mostrato una croce. La replica di Planéte non si fece attendere e nel numero di maggio-giugno del 1965 venne pubblicata una risposta a Servier assieme all'immagine completa, purtroppo in bianco e nero e mancante della parte finale del testo.

Ora possiamo chiaramente vedere che il personaggio principale è la Fortuna che fa girare la Ruota e sceglie, indicandola, una delle persone che si dirigono verso di lei, mentre un uomo sulla destra, dall'aspetto malandato, le volta le spalle. Su una collina si trova un gruppo di persone che che guardano in diverse direzioni. Uno solo è rivolto verso il globo nel cielo.

Il fatto che sul globo non compaia nessuna croce fa sì che Planete possa dire "Il ne comportant aucune sorte de croix. Rien ne permet d'assurer qu'il représente le globe terrestre ou la fortune, et l'on n'en finirait pas de citer les objets célestes dans l'iconographie du Moyen Age. Nous l'avions justement choisi à titre d'exemple à la demande de l'auteur de l'etude sur "la France mystérieuse".

La mancanza della croce però non deve far dimenticare che la Fortuna (che forse sarebbe meglio chiamare "Destino") non è un personaggio legato all'arte sacra. Inoltre non sempre l'orbe è sovrastato da questo simbolo, e in moltissime raffigurazioni della ruota della Fortuna possiamo vedere in alto una figura regale, che spesso tiene in mano i simboli del potere e in certi casi proprio l'orbe senza croce:


La ruota girando innalza il prescelto al ruolo di re, ma possiamo facilmente immaginare che lo stesso personaggio, continuando la ruota a girare, potrà poi precipitare verso il basso perdendo la corona per diventare infine un miserabile. Anche nell'immagine in esame il globo tripartito che sovrasta la Fortuna potrebbe dunque rappresentare l'orbe.
Un globo è spesso il simbolo della Fortuna, come spiega James Hall nel Dizionario dei soggetti e dei simboli nell'arte:

«Esistono due aspetti della Fortuna: 1) la dea incostante dell'antichità riesumata nel Rinascimento, che distribuisce imprevedibilmente i suoi favori; 2) la Dama Fortuna del Medioevo che fa girare la sua ruota. (...)
2)Il suo attributo più consueto, un GLOBO sul quale siede o sta in piedi, era in origine simbolo di instabilità, ma per la mentalità rinascimentale divenne simbolo del mondo sul quale estende il suo dominio. (...) Il globo è anche un simbolo dell'occasione, che può anche essere vista come un prodotto della Fortuna.»

Un aspetto particolare che nessuno fino ad ora ha mai né citato neppure parzialmente è il testo che accompagna l'illustrazione, tratto dalla Bibbia, capitolo 14 del libro di Giobbe, versetti 1 e 2 (grazie a Leopoldo Zambrano Enriquez per l'identificazione precisa della fonte):

Comme dit Job, la vie de l'omme
est brieve laquelle est plai-
ne de miseres et de pouvrete.
Et comme la fleur se esvanouist legiere-
ment et comme s'enfuit de lieu en lieu.

Versione italiana della Bibbia di Gerusalemme (testo di La Sacra Bibbia della CEI 1971):

Come disse Giobbe
L'uomo nato di donna,
breve di giorni e sazio di inquietudine,
come un fiore spunta e avvizzisce,
fugge come l'ombra e mai si ferma.
_______________
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Il testo in una versione più lunga, tratto da una diversa edizione del Livre Des Bonnes Moeurs:

Chap. XXVII.
Comment la vie de ce monde est brieve et de petite duree.
Nul ne se doit de son estat glorifier: car, comme dit Job, la vie de l'omme est brieve et plaine de miseres et de povretez. Et aussi comme la fleur se passe de legier et s'esvanouist comme l'ombre qui de lieu en lieu s'enfuit, ainsi la vie de l'omme s'en va et trespasse briefment et legierement.

Capitolo XXVII
Come la vita in questo mondo è breve e dura poco.
Nessuno si deve vantare per le sue condizioni: perché, come ha detto Giobbe, la vita dell’uomo è breve e piena di miseria e di povertà. Così come il fiore passa lievemente e svanisce come l’ombra che fugge da un luogo all'altro, così la vita dell’uomo se ne va e passa brevemente e lievemente.

Grazie a Mariano Tomatis per l'aiuto nella trascrizione.

Si tratta dunque di un apologo morale sulla vanità delle cose del mondo, delle quali non ci si deve gloriare perché sono transitorie.

Altre due illustrazioni tratte dallo stesso Libro del buoncostume di Jacques Legrand nelle quali compare l'orbe. Nella prima vediamo il Giudizio Finale, nella seconda si afferma che secondo San Bernardo l'ingratitudine è una offesa a Dio.